A Torino con il gatto Venerdì

Giovedì 7 febbraio, Serena Gaudino racconterà alle classi quarte della scuola Gabelli di Torino la storia de Il gatto Venerdì di Jutta Richter. Siamo felici di tornare nel capoluogo piemontese, dove tra l’altro è cominciata quest’anno la nostra avventura. Per l’occasione Serena ci presenta il libro di cui parlerà ai bambini della Gabelli. Buona lettura.

La storia del gatto Venerdì è una storia sbilenca: un gatto che parla, una bambina che non sa contare, un bambino col nome buffo, un reverendo con gli occhi grandi e cattivi, un papà e una mamma distanti. Non fisicamente lontani, fridaycatma troppo reali. Troppo fisici. Mentre Christine ha bisogno di sciogliersi ancora in una realtà che non capisce tanto. In una realtà che va a cavallo del sogno. Che si sposta a secondo di quanto e come si sposta lei.

La spiritualità di Jutta Richter, una delle più apprezzate scrittrici per bambini in Germania, è un tripudio di verità. La sua scrittura anche lì dove accenna a Adamo e a Eva, al serpente, alla mela, alla storia del peccato originale, è una scrittura che apre gli occhi che chiede ai bambini di svegliarsi, di credere a sé più che a quel che gli viene detto. E risulta sghemba, sbilenca, appunto. Sbilanciata. Ma deliziosamente ironica e profonda. Sul bordo dell’incoerenza la Richter fa galleggiare le parole e le salda insieme, come pietruzze di un mosaico.

E poi a otto anni essere coerenti è quasi un reato. Soprattutto in una città senza tempo. Perché, il tempo, se mai ci fosse, scorre così che lento che, nessuno si accorge della sua presenza. E questa sospensione è detta “eternità”. L’impertinenza, è l’aggettivo più ricorrente. Perché la bambina che ogni giorno mangia, al tramonto, un panino col burro che la madre le lancia dalla finestra avvoltolato nella carta oleata, parla con un gatto: un gatto tutto spelacchiato. Che tra gli occhi lucidi, proprio qui sul muso, ha il pelo tanto rado da mostrare la pelle. E puzza. Tanto. Da lasciare sulle mani di lei, quando, qualche volta si decide ad accarezzarlo, una puzza di pesce insopportabile. La stessa puzza che sente quando al Venerdì è costretta a mangiare merluzzo o aringhe mezze marce che vagano in un piatto pieno di sugo rosso. Ma va tutto bene. Ogni cosa si tiene. L’importante è che il signor vicino non usi troppo la sua sega, perché a forza di tagliarla, di farla a pezzi, l’eternità, si corre il pericolo di non lasciarne più in giro neanche un pezzettino. E di questo ha anche paura il gatto Venerdì. Perché sa che senza eternità anche lui sparisce: il mostro buono, dei sogni della bimba. Che per difendere le sue idee e la sua infanzia continua a scrivere, per punizione, che I GATTI PARLANTI ESISTONO… omettendo consciamente la negazione nella frase che il vecchio maestro le ha ordinato di scrivere cento volte.

gatto venerdiTutto in questo libro è leggerezza: si parla di ronzii e di sogni, di numeri che si rincorrono, si perdono, si ritrovano, come davanti a una tavola, e tutti insieme fanno festa perché si potrà vivere non sette vite, come del resto già i gatti vivono, bensì settantasette! Ed è un bel problema riuscire a contare fino a là. Se non ci si esercita, cercando sassolini, pezzi di vetro, bottoni e chiodi arrugginiti abbandonati in strada. Finché uno spillo con la capocchia verde non ti si infila in un dito e diventi una vittima. Perché le vittime sono coloro che si fanno male senza sapere come, senza sapere il perché. Scovare un libro così denso e forte non è da tutti. Ulrike Beisler è l’editrice tedesca che l’ha scoperto e portato in Italia: la sua piccola ma meravigliosa casa editrice (http://www.beislereditore.com/) è un luogo pieno di capolavori. Questo ne è uno ma val la pena scoprire anche di più.

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